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La cronicità dell’emergenza in persone senza dimora

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In questo approfondimento tratteremo il tema dell’emergenza e cercheremo di comprendere come una situazione emergenziale può divenire cronica come, per esempio, avviene nel caso di persone senza dimora.

Innanzitutto, è importante sottolineare che la persona che si trova ad affrontare una situazione emergenziale è una persona che vive un DISAGIO.

Ci può succedere, nella vita, di attraversare momenti di difficoltà in cui sentiamo di avere perso equilibrio, serenità, capacità di stare in contatto con noi stessi e con gli altri, ci troviamo incapaci di reagire e sopraffatti da sentimenti e pensieri negativi. A volte la condizione di malessere e disagio è collegata ad un evento importante che ci ha sconvolto, un grande cambiamento o un lutto, oppure può apparirci del tutto inspiegabile ed incomprensibile. Talvolta arriva in modo inaspettato ed improvviso, in altri casi è il punto culminante di una crisi che si protrae per anni e peggiora progressivamente.

emergenza

Si parla di disagio psicologico vero e proprio quando la perdita del benessere interferisce pesantemente e negativamente con la nostra vita, limitando lo svolgimento delle attività quotidiane, le relazioni con gli altri, facendoci perdere la gioia e il piacere di vivere.

La sofferenza dell’anima a volte è accompagnata, o addirittura preceduta da dolori del corpo, il quale diventa un mezzo attraverso cui si esprime il malessere psicologico. Compaiono allora diversi sintomi somatici, disturbi di cui è difficile trovare una spiegazione fisiologica e che sono resistenti alle più diverse indagini e terapie di tipo medico, magari genericamente e frettolosamente etichettatati come “di origine psicologica” o “da stress”, senza che questa definizione possa esserci di alcun aiuto per stare meglio. Il fatto che i sintomi somatici siano strettamente correlati con una situazione di disagio psicologico, infatti, non significa che possiamo controllarli a nostro piacimento, né che non ci provochino grande sofferenza.

Prendere consapevolezza della situazione di disagio, per quanto dolorosa essa possa essere, è un primo passo importante, perché ci permette di riconoscerci in uno stato che non desideriamo e ci guida alla ricerca di una via d’uscita, permettendoci di formulare una chiara richiesta d’aiuto. Questo è il punto di partenza per uno psicologo che opera in situazioni di emergenza.

Ma cos’è un’EMERGENZA?

Ogni emergenza è un’esperienza di vita speciale. Il termine emergenza è un termine ricorrente negli ultimi anni in Italia, basti pensare al 2020, durante il lockdown, tutti i cittadini hanno compreso concretamente cosa accade quando un governo nazionale decreta uno stato d’emergenza.

In questo periodo, alla gente è stato chiesto di cambiare i propri comportamenti in maniera improvvisa e imprevedibile.

In questo momento è entrata in gioco la psicologia dell’emergenza che è l’area della psicologia che si occupa di interventi clinici e sociali in situazioni di calamità e disastri. Tali interventi clinici si possono rivolgere alle vittime “primarie” (soggetti direttamente coinvolti dall’evento critico), alle “secondarie” (parenti e/o testimoni diretti dell’evento) e “terziarie” (i soccorritori intervenuti sulla scena, che spesso sono esposti a situazioni di particolare drammaticità).

Mentre gran parte della psicologia tradizionale si occupa dei processi psichici (cognitivi, emotivi, psicofisiologici, etc.) che avvengono in condizioni “normali”, la psicologia dell’emergenza si occupa di come tali processi vengano rimodulati trasversalmente nelle situazioni “acute”.

L’INTERVENTO IN EMERGENZA deve basarsi su un’attenta valutazione delle risorse e delle capacità che la persona possiede. Il primo passo deve essere quello di comprendere quanto la persona sia RESILIENTE, la resilienza è un costrutto psicologico multidimensionale che indica la capacità della persona di rimanere organizzata di fronte ad una sfida e si sviluppa lungo tutto il corso dell’esistenza.

È un processo dinamico che permette di far fronte, resistere, integrare e riorganizzare positivamente la propria vita, nonostante le situazioni avverse potrebbero incidere negativamente.

Perché parliamo di cronicità dell’emergenza?

Il termine cronicità si riferisce al carattere di permanenza e persistenza, è all’interno di tale cornice che la psicologia può trovare ampio spazio assumendo un ruolo fondamentale.

La cronicità è il nuovo scenario con cui professionisti e istituzioni devono confrontarsi per sviluppare risorse assistenziali efficaci e sostenibili.

Quindi, confrontarsi con la cronicità significa cogliere l’ardua sfida di gestire la complessità della situazione e dello stato in cui una o più persone versano, come accade per esempio in persone senza dimora.

Chi è la persona senza dimora?

Nello Statuto della federazione italiana degli organismi per le Persone Senza Dimora troviamo questa definizione: “una persona in stato di povertà materiale ed immateriale portatrice di un disagio complesso, che non si esaurisce alla sola sfera dei bisogni primari, ma che investe l’intera sfera delle necessità della persona, specie sotto il profilo relazionale, emotivo ed affettivo” (Art. 2).

Il lavoro psicologico con le persone senza dimora è spesso la base di partenza per la risoluzione di alcuni problemi legati alla vita in strada e rappresenta in alcuni casi uno step fondamentale per la successiva “uscita” dalla condizione di fragilità.

Oltre che aiutare la persona senza dimora a soddisfare i suoi bisogni primari, offrendo un letto e un pasto caldo, è necessario riattivare un processo di empowerment, cioè fare in modo che egli riprenda in mano la propria vita e torni a prendere decisioni per sé e per il proprio futuro.

In termini psicologici, questo è possibile se viene favorito un locus of control interno (Rotter, 1966), un aumento dell’autostima, della self-efficacy (Bandura, 1986) e una prefigurazione positiva del futuro (Garfield, 1984). 

L’intervento psicologico, per avere significato, non deve restare isolato, ma accompagnarsi a contestuali interventi di altro tipo, rispondenti a bisogni primari dei beneficiari, quali quelli socio-economici, socio-educativi e socio-sanitari”. (Castelletti, 2006)

Cosa può fare uno psicologo in situazioni emergenziali?

  • Promuovere un senso di sicurezza
  • Favorire un ritorno alla calma
  • Incoraggiare il senso di efficacia individuale e collettiva
  • Promuovere il senso di legame ad una rete sociale
  • Mantenere un senso di speranza

L’obiettivo centrale è l’abbattimento progressivo delle conseguenze dannose  sia sanitarie che sociali di comportamenti devianti o disfunzionali, senza richiedere che tali comportamenti vengano eliminati; altresì è necessario permettere ai destinatari di riconoscersi come persone che hanno un valore, una dignità, la possibilità di far parte di una comunità.

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