27 Luglio 2024

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A che punto è l’integrazione socio-sanitaria? La prospettiva dell’urgenza/emergenza

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Partendo da una delle possibili definizioni  del focus oggetto del presente scritto, ovvero  dal che “cos’è?”, possiamo iniziare il nostro racconto dall’affermare che, l’integrazione sociosanitaria è disciplinata come modalità di coordinamento delle prestazioni sociosanitarie, intese come tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione

Sono passati 22 anni dalla entrata in vigore della legge e quasi 14 anni dall’attivazione del primo Pronto Intervento Sociale in Puglia e nello specifico nella città di Bari; è tempo di un primo bilancio.

Sono passati 22 anni dalla entrata in vigore della legge e quasi 14 anni dall’attivazione del primo Pronto Intervento Sociale in Puglia e nello specifico nella città di Bari; è tempo di un primo bilancio.

Il servizio di urgenza/emergenza sociale costituisce senza dubbio un osservatorio privilegiato, intervenendo nel momento in cui il disagio di una persona e/o del suo sistema esplodono, manifestando dei sintomi visibili all’esterno. È sicuramente raro poter osservare un sistema quando i suoi equilibri, seppur precari, iniziano a rompersi e a modificarsi, iniziando a creare dis-armonia; nella maggior parte dei casi che esplodono all’improvviso, oggetto di segnalazione ed interventi dei più attori istituzionali e/o del privato sociale aventi funzione pubblica, si riscontra che quel sistema, sia esso un nucleo familiare, sia esso un senza dimora è stata a lungo una “grotta non o mal visitata”.

Nei numerosi casi affrontati dal PIS di Bari nei tempi dell’urgenza/emergenza si sono registrate delle costanti, delle regolarità e delle dinamiche più o meno universali, che ci consentono di poter costruire un paradigma/epistemologia utile alla lettura di un fenomeno e alla costruzione di una teoria, ovvero, prendendo spunto dalla etimologia della parola, una visione staccata dal caso specifico, che si pone “sopra” il fatto e fuori dal tempo circostanziato/cronologico.

emergenza

Sia nelle situazioni su strada, relative ai senza dimora sia sulle situazioni indoor, relative ad anziani e/o disabilità/fragilità con predominanti componenti sanitarie, in occasione degli interventi segnalati al servizio PIS, si sono  osservate delle manifestazioni/acuzie, sintomi che si è avuto modo di dedurre essere la inevitabile/naturale  conseguenza/decorso/effetto di dinamiche iniziate cronologicamente tempo prima e mai intercettate nei tempi favorevoli (Kairos), ovvero osservati da persone vicine, ma non decodificati correttamente oppure, ancora, intercettati e sotto valutati dagli attori competenti.

Tale lettura, necessita di alcuni presupposti/antecendenti assiomatici, quali la visione unitarietà della persona, dell’esistente di una rete  degli attori istituzionali, dell’esistenza di connessioni e raccordi tra gli stessi, ad esempio sulla base di prassi, consuetudini, protocolli, per poter comprendere l’approccio e la prospettiva di riferimento per gli interventi.

Ciò che funziona, certamente può migliorare, ma “il negativo”, quando si ha la fortuna di approfondirlo, consente di avere utili tracce su cui lavorare per il cambiamento.

Tra i vari aspetti emersi in occasione di interventi in urgenza/emergenza sarebbe utile porre in evidenza  il “vuoto” di azioni, risorse e chiarezza nei casi di utenza, con manifestazione complesse; entrando più  nello specifico, persone che presentano contemporaneamente più sintomi, sia di carattere sociale che sanitario, ma che per le modalità con cui si manifestano, per una serie di motivi legati ai regolamenti, codici professionali, codici deontologici, legislazione, ovvero non sono stati “pre-rappresentati” e di conseguenza NON-ESISTONO!!

Per i referenti istituzionali, investiti di ruoli e funzioni, nei casi di utenti sprovvisti di rete parentale/amicale, sprovvisti di qualsivoglia risorsa, quando le componenti del dis-agio si siano cronicizzate, gli interventi nel momento dell’urgenza/emergenza,  sono possibili solo in presenza di acuzie (ad esempio, l’ospedalizzazione è possibile solo se si renda necessario un trattamento in presenza di acuzie, ovvero chi manifesta sintomi riconducibili ad un disagio psichico e vi sia già una diagnosi e/o tali sintomi siano osservati direttamente dal personale medico); per cui la domanda sorge spontanea, e quando le caratteristiche suddette (quelle dei modelli teorici dei servizi e professioni) non ci sono, che si può fare?

Detto in altri termini, sebbene nella realtà vi siano situazioni di disagio che richiederebbero immediato intervento, con contestuale attivazione di presa in carico ed erogazione di risorse di fronteggiamento, quando le peculiarità di contesto non siano state previste dagli Enti preposti, dai regolamenti, dai capitolati, non vi sono risposte da fornire.

Le informazioni a chi di dovere, arrivano, ad esempio un servizio di urgenza/emergenza 118, contattato molteplici volte nella medesima giornata per il medesimo utente, non ospedalizzabile, poiché la demenza è preesistente e non ci sono acuzie da trattare; il punto è, questo essere costantemente impegnato/destituito in interventi non risolutivi, come viene letto? Come viene sistematizzato nelle idee/procedure/paradigmi del proprio lavoro e delle proprie competenze?

Ciò che funziona, certamente può migliorare, ma “il negativo”, quando si ha la fortuna di approfondirlo, consente di avere utili tracce su cui lavorare per il cambiamento.

Forse è il momento che ogni addetto ai lavori, ogni contesto istituzionale inizi ad aprirsi alla possibilità di rivedere le proprie “configur-azioni”, inizi a pensare che se un fatto/una specifica situazione di disagio si manifesta nella realtà e non vi siano risposte adeguate/rispondenti, bisogna abbandonare la ratio de-responsabilizzante “non è di mia competenza”, ed abbracciare l’idea propositiva, del “cosa posso fare per inteleggere questa realtà”, comprenderla e rendermi idoneo ed in grado di fornire delle risposte, aldilà se dirimenti o no.

L’integrazione socio-sanitaria, va senza dubbio costruita, un primo passo potrebbe essere messo quando, in presenza di una delle fattispecie sopra riferite, si iniziano a co-progettare insieme (ad esempio ASL e Comuni) ipotesi di intervento congiunto, reciprocamente riconosciuto, ma per fare questo è necessario che ognuno ri-veda e ri-definisca i propri limiti/confini, senza paura di perdere le proprie identità professionali e/o procedurali.

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