16 Settembre 2025

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“SAI OLTRE?”: Il Piano Mattei, davvero un ponte Italia-Africa?

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“Il Piano Mattei: davvero un ponte Italia-Africa?”, articolo della rivista “SAI OLTRE?“, propone una riflessione in merito alla creazione dei nuovi partenariati tra il nostro Paese e diversi Paesi africani, al fine di comprendere se possa effettivamente tradursi in opportunità o, al contrario, in una scatola vuota.

Nonostante l’Africa sia, nell’immaginario collettivo, il continente dell’arretratezza, del degrado e della povertà, con una scarsa propensione, da parte nostra, alla curiosità e all’apertura, ma piuttosto alla carità e alla compassione, in realtà si tratta di un territorio tanto vasto quanto sorprendente nel suo diversificato mosaico di culture e ricchezze. Sebbene non sia questa, probabilmente, la ragione che ha mosso le recenti iniziative politiche italiane, all’inizio dello scorso anno il Governo della nostra Nazione ha portato in Parlamento il Piano Mattei, iniziativa fondata sulla creazione di nuovi partenariati che fungano da ponte tra l’Italia e l’Africa, implementando progetti pilota che coinvolgano inizialmente nove Paesi africani, distribuiti tra il quadrante nordafricano (Algeria, Egitto, Marocco, Tunisia) e quello subsahariano (Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya, Mozambico, Repubblica del Congo). Tali progetti sarebbero improntati, per lo meno stando a quanto comunicato dal Piano, alla creazione di rapporti paritari piuttosto che predatori, possibili tramite l’impiego di risorse a sostegno di sei direttrici d’intervento di primaria importanza, quali istruzione/formazione, sanità, acqua, agricoltura, energia e infrastrutture (fisiche e digitali), da svilupparsi, con un monitoraggio annuale, nel corso del quinquennio 2024-2028. Allo stato attuale, alcuni dei progetti sono stati avviati, tra cui, a titolo esemplificativo, un progetto di agricoltura desertica in Algeria, uno di trasferimento di tecnologie agricole in Egitto e uno di creazione di un Centro agroalimentare, basato sul modello italiano, in Mozambico, nonché uno di costruzione di infrastrutture adibite al trasporto di idrogeno nella Repubblica democratica del Congo.

Chiaro è che ciascuna delle iniziative illustrate non può ritenersi mossa puramente dallo spirito altruista degli ideatori del Piano Mattei, il cui documento pur strizza l’occhio ai Paesi africani, tanto da potersi leggere, nella relativa sezione introduttiva: “l’Africa è stata definita, da più parti, come la terra del futuro. Il Continente africano sta attraversando una serie di transizioni epocali in campo economico, sociale, politico e demografico. […] L’Africa può contare anche su grandi risorse fisiche. Il Continente detiene una vasta percentuale delle risorse naturali del mondo, sia rinnovabili che non rinnovabili. […] Il Governo italiano intende imprimere un cambio di paradigma nei rapporti con il continente africano e costruire un partenariato […] capace di generare benefici e opportunità per tutti”. Dunque, sin dalle prime righe del documento, da subito ritenuto, su vari fronti, inadeguato, in quanto a forma, contenuti e inquadramento di progetti e intenzioni, emerge un’evidente dualità di intenti, uno dichiarato e uno non troppo sottilmente sotteso. Infatti, a dispetto della dichiarata volontà di promuovere il “potenziamento delle sinergie e delle attività di raccordo […] che hanno un focus sull’Africa, al fine di massimizzare gli sforzi e gli investimenti nel Continente africano e ottenere così maggiori benefici”, la reale matrice del Piano Mattei sembra essere securitaria, a sostegno della sicurezza nazionale economica, energetica, climatica, alimentare e di contrasto ai flussi migratori irregolari, seppure in una forma grossolanamente mascherata. Difatti, nella stessa delineazione del Piano, esso viene definito come un “complesso di iniziative e interventi con il quale l’Italia vuole offrire il suo contributo per garantire alle giovani generazioni africane un diritto finora negato, ovvero il diritto a non dover emigrare e a poter rimanere nella propria patria per contribuire al suo futuro. Perché ogni giovane africano che recide le proprie radici, perché non ha l’opportunità di restare dove è nato e cresciuto, è una sconfitta per tutti”.

Alla luce di quanto fin qui emerso, risultano ben comprensibili le non poche perplessità sollevate dagli stessi Paesi africani coinvolti, ai quali le iniziative proposte sono sembrate, in buona sostanza, una scatola vuota, probabilmente fondata su molte promesse alle quali non ci si aspetta che facciano seguito fruttuosi, e soprattutto paritari, interventi concreti. Noi tutti ci auguriamo che i progetti implementati e quelli in programma per il futuro non restino uno sterile e goffo tentativo di contenere quelle che la nostra politica ha definito a più riprese come invasioni incontrollate, ma che, per lo meno, possa evolversi in una, anche solo parziale, realizzazione dell’infelice espressione “aiutiamoli a casa loro”, magari senza continuare a godere di beni e ricchezze che a quella casa appartengono.

A cura di Zakaria C. e Ilaria T.

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