Nell’ambito della rivista “SAI OLTRE?”, realizzata in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato 2025, pubblichiamo il primo articolo realizzato da ragazzi ed educatori del SAI MSNA della cooperativa sociale CAPS, dal titolo: “Il pericolo di un’unica storia”. Un invito ad andare oltre i pregiudizi e non etichettare persone e luoghi sulla base di preconcetti, a tutela della dignità di tutti e tutte.
Quante volte vediamo riprodotte in tv o sui canali social spot di sensibilizzazione sulla precarietà della vita in Mozambico? Quante volte sentiamo parlare dell’Africa e ciò che ci viene subito in mente sono quei venti secondi di video? Quante volte una singola esperienza, negativa o positiva che sia, diventa il nostro unico metro di giudizio? Razionalmente sappiamo che la nostra conoscenza è del tutto parziale e incompleta ma, irrazionalmente, quante volte la nostra limitata conoscenza del mondo ci condiziona nel rapportarci ad esso?
Seppur ripetiamo a spada tratta: “mai giudicare un libro dalla copertina”, la nostra mente è estremamente suggestionabile e tante volte ci lasciamo condizionare non solo dalla copertina, ma anche da come le persone a noi vicine giudicano quella copertina. Quando eravamo bambini, ci bastava ascoltare o origliare l’opinione di uno dei nostri genitori rispetto ad una situazione o persona per ritenerla verità indiscutibile: solo perché “l’ha detto mamma/papà”. Nonostante l’età che avanza e i capelli bianchi che aumentano, rimaniamo così facilmente condizionabili e ci accontentiamo, il più delle volte, di una sola esclusiva versione dei fatti o delle persone.

Il pericolo di un’unica storia non è dettato dalla veridicità di quella versione, ma dalla sua incompletezza e dalla riduttività con cui è stata affrontata. La scrittrice Chimamanda Adichie sostiene che: “È impossibile parlare di un’unica storia senza parlare di potere. C’è una parola, un termine in igbo che mi torna in mente ogni volta che rifletto sulle strutture di potere nel mondo, ed è nkali. Un sostantivo che si può tradurre, liberamente, come <<essere più grandi di un altro>>. Allo stesso modo dei nostri mondi politici ed economici, anche le narrazioni sono definite dal principio di nkali. Come e quando vengono raccontate, chi le racconta, quante se ne raccontano. Dipende tutto dal potere. Il potere è la possibilità non solo di raccontare la storia di un’altra persona, ma di farla diventare la storia definitiva di quella persona. Il poeta palestinese Mourid Barghouti scrive che, se si vuole espropriare un popolo, il modo più semplice per farlo è raccontarne la storia cominciando con <<in secondo luogo>>. Prova a iniziare la storia con le frecce dei nativi americani e non con l’arrivo degli inglesi, e avrai una storia del tutto diversa. Inizia la storia con il fallimento dello stato africano, non la creazione coloniale dello stato africano, e avrai una storia del tutto diversa.”
L’inevitabile conseguenza di un’unica storia è questa dunque: sottrarre alle persone la propria dignità e vincolarle ad un’etichetta di cui è difficile, se non impossibile, sbarazzarsi. La soluzione per non cadere in questo tranello è sottrarsi all’ignoranza di una singola storia. Mai accontentarsi, mai lasciarsi condizionare da una singola versione dei fatti, ma mostrarsi sempre curiosi. L’ignoranza crea inevitabilmente stereotipi e necessario per imparare a conoscere gli altri è ammettere e conoscere le mille e uno versioni che ci sono di noi stessi, in primis. Solo prendendo coscienza di quanto sia scomoda e incompleta un’unica etichetta per descriverci, con parsimonia, eviteremo di essere così riduttivi con chi abbiamo di fronte.
Le storie sono importanti ed ognuno deve essere libero di raccontare la propria o, meglio, le proprie: perché le storie possono spezzare la dignità di un popolo, così come possono riparare quella stessa dignità spezzata.
Articolo a cura di Oumar S. e Doriana L.