3 Settembre 2025

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“SAI OLTRE?”: L’inclusione inizia da piccoli

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Nell’ambito della rivista “SAI OLTRE?“, realizzata in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato 2025, condividiamo uno degli articoli realizzati da ragazzi ed educatori del SAI MSNA della cooperativa sociale C.A.P.S., dal titolo “L’inclusione inizia da piccoli”; questo contributo vuole essere una riflessione sul concetto di inclusione e sui bias cognitivi che spesso influenzano i ragionamenti degli adulti.

La nostra mente di adulti, sempre affannati nella corsa verso gli obiettivi, è abituata a funzionare per inesatte scorciatoie cognitive, mere distorsioni della realtà che prendono il nome di “bias” e conducono ciascuno di noi a percepire, elaborare e interpretare le informazioni in modo scarsamente oggettivo e privo di ancoraggi concreti. Noi adulti siamo imprescindibilmente influenzati da valutazioni premature e generalizzate e, perciò, spesso abituati a ragionare attraverso stereotipi; ma lo sono anche i bambini? La risposta, scientificamente dimostrata ma ugualmente prevedibile, è no.

inclusione

Ciascuno di noi nasce privo di pregiudizi, sebbene la nostra capacità di pensiero sia, sin dai primi mesi di vita, strutturata per lavorare utilizzando processi di categorizzazione, che sembrerebbero esserne dei precursori: un bambino osserva attentamente la realtà che lo circonda, riconoscendone le caratteristiche e immagazzinandole sulla scorta di quelle che ha già avuto modo di esperire, selezionandole semplicemente per similarità, con l’unica finalità di ottenere comfort e senso di familiarità.

Basti pensare che, a soli tre mesi, i bambini preferiscono i volti appartenenti alla propria razza e a nove mesi maturano la capacità di usare la razza come criterio di classificazione dei volti stessi; nonostante questo possa apparire come una precoce forma di discriminazione, non lo è per una semplice ma pregnante ragione: il processo di categorizzazione è privo di qualsiasi giudizio. I bambini notano con sorprendente precocità la diversità, ma non le rispondono con l’esclusione. Questa diventa solo poi un’errata forma di apprendimento che deriva dai contesti in cui il bambino cresce ed è per questo che, a tre anni, è capace di attribuire ad alcuni gruppi razziali dei tratti negativi, a quattro anni associa i volti bianchi con la ricchezza e un elevato status e, a sei anni, già è in grado di assumere atteggiamenti discriminatori.

L’educazione alla diversità e alla multiculturalità è la chiave preziosa di cui famiglia, scuola e società dispongono per promuovere un ormai necessario processo di inclusione, inteso non solo come fisica accoglienza e condivisione, ma anche e soprattutto come valorizzazione delle diversità, riconoscimento delle caratteristiche che la contraddistinguono e abbattimento di ogni barriera che ci separa da queste. Impariamo, noi adulti innanzitutto, a sentirci liberi di affrontare argomenti complessi servendoci di strumenti semplici, perché “se aspettiamo che un bambino sia abbastanza grande per fare una domanda difficile sulla storia della violenza razziale, allora sarà molto più difficile parlarne se non ci sono state discussioni significative sulla razza all’inizio della loro vita” (L. Wilson).

Oppure, impariamo semplicemente ad essere un esempio con i nostri racconti e le nostre esperienze, ad essere un concreto insegnamento quotidiano oltre che un cumulo, forse anche un po’ banale, di laboratori didattici; combattiamo noi per primi per i diritti degli altri, diffondiamo le testimonianze di coloro che hanno a lungo lottato per il riconoscimento della propria stessa identità.

Non limitiamoci a raccontare che “siamo tutti uguali” e che “il colore della pelle non conta”. Non propiniamo alle generazioni future solo superficiali e inconsistenti sermoni, ma proviamo a destrutturare concretamente l’intolleranza.

A cura di Zakaria C. e Ilaria T.

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