Signora, è sicura di quello che dice?
Non è che sta esagerando un po’?
Magari era solo un litigio passeggero…
Lei ha fatto qualcosa per provocare questa reazione?
Queste sono tra le frasi e le domande che quasi ogni donna vittima di femminicidio è stata costretta ad ascoltare, pensieri elaborati da uomini per assolvere altri uomini, in una sorta di solidarietà di genere che vede la donna colpevole di aver provocato una reazione violenta, di essere in qualche modo artefice delle violenze subite. In altre parole, anche queste insopportabili, di “essersela cercata”. Un pregiudizio, peraltro, spesso espresso anche da altre donne, a volte per una scarsa consapevolezza sul fenomeno e per influenze culturali subdole e pervasive, altre volte per una solta di meccanismo di difesa, che serve ad allontanare la paura di poter vivere la stessa esperienza. Il finale di queste storie lo conosciamo tutti: 24 donne uccise dal loro partner o ex partner nel primo semestre di quest’anno, solo in Italia.
È cambiata però la consapevolezza dei dati agghiaccianti che ogni anno riportano il numero delle donne uccise. Oggi l’ascolto di chi è vittima è sempre più libero da pregiudizi e sempre più aderente alla realtà delle vittime.
Il Centro Antiviolenza di Bari, finanziato dall’Assessorato al Welfare, è da anni impegnato nella tutela di donne e minori vittime di abuso, maltrattamenti e violenze.